
7,35x51
QUESTO ARTICOLO E' PREVALENTEMENTE BASATO SU TESTI E FONTI RIPORTATE DA DUE LIBRI: "LE ARMI DELLA FANTERIA ITALIANA 1919-1945" DI PIGNATO&CAPPELLANO E "MUNIZIONI MILITARI D'ITALIA 1861-1946" DI TAVIANI&ZAMBON;
Si ringraziano in modo particolare Qwert, AugFC e Ambreus per la fornitura di Immagini, documentazioni e lo scambio di opinoni.
1916-1924
Già durante la prima guerra mondiale il Regio Esercito si rese conto che l'ingombrante fucile mod. 91 non era adatto alle necessità della guerra di trincea e che la sua munizione da 6.5, per quanto balisticamente performante nella lunga canna da 720mm, non aveva la balistica terminale necessaria a neutralizzare il nemico all'assalto. Il pesante ed oblungo proiettile sparato dalle armi in 6,5x52 infatti, molto efficace nel perforare gli oggetti anche a lunghe distanze, si rivelava essere fin troppo "umanitario" nel danneggiare i tessuti del nemico, che spesso neanche si rendeva conto di essere stato colpito nella foga della battaglia, continuando ad avanzare imperterrito.
La munizione da 6,5x52 oltretutto, sparata dai moschetti con canna da 452mm, risultava perdere gran parte del suo potenziale balistico (Questione indifferente per il soldato medio che si trovava costretto a combattere entro i 300m ma fondamentale per gli ufficiali dello stato maggiore), disperdendo gas e polvere potenzialmente utili per sospingere il proiettile e provocando al contempo una notevole vampata alla bocca, rivelando facilmente al nemico la posizione del soldato.
Fin dal 1916-17 vennero avviati diversi studi (specialmente sfruttando l'eperienza sul campo delle truppe d'assalto e degli Arditi) per trovare una soluzione adeguata per i moderni combattimenti da trincea e per sfruttare al meglio le brevi distanze degli scontri.
Immediatamente le truppe d'assalto indicarono una preponderante preferenza per la maneggevolezza dei Moschetti mod. 91, sia da cavalleria che da Truppe Speciali, ma soprattutto richiesero (e studiarono sul campo) soluzioni per avere un maggiore volume di fuoco, sia con mitragliatrici pesanti che con le pistole mitragliatrici "Villar Perosa" mod.15 . Le Mitragliatrici pesanti vennero così letteralmente caricati sulle spalle dei serventi, che si ritrovarono ad essere dei veri "muli da combattimento", dei "Trepiedi semoventi", mentre le Pistole Mitragliatrici "Villar Perosa", dopo diversi esperimenti di affusti e di basti di trasporto individuale, vennero sviluppate in veri e propri "Moschetti Automatici".
L'industria bellica Italiana si adoperò subito per sviluppare questi concetti, sia con una "Mitragliatrice Leggera" in 6,5x52 (MIDA-SIA "Savoia" mod. 1917 e Beretta mod.1918, poi adottata) sia per il "Moschetto Automatico" in 9mm Glisenti (Savoia mod. 18 e Beretta mod. 18, poi adottato).




Pistola Mitragliatrice FIAT-Revelli Villar Perosa mod.1915, with Assault Stock
Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto
Moschetto Automatico Revelli-Beretta mod.1915 (colloquially called MAB 18)
Museo storico Italiano della Guerra, Rovereto
Già nel Febbraio 1919 lo Stato Maggiore, riconoscendo le potenzialità ma anche i limiti delle pistole mitragliatrici, emanò delle specifiche per l'adozione di una nuova "Arma Automatica":
- Portatile e maneggevole
- Tiro utile entro i 600m
- Leggera e con scarso rinculo
- Ampia capienza del caricatore
- Possibilità di montaggio su un trepiede per poter essere usata come Mitragliatrice Leggera
- Semplicità di costruzione e smontaggio
Questi vennero poi puntualizzati nel 1921 nel seguente elenco:
- Peso non superiore ai 4 kg, baionetta compresa
- Dimensioni pari a quelle del Moschetto mod. 91
- Precisione adeguata fino a 400m
- Capacità di tiro a colpo singolo, ad un rateo di 30-60 colpi al minuto
- Caricatore con capacità di 25 cartucce
- Munizione con capacità vulneranti fino ai 1000m
Tra il 1921 e il 1923 gli Arsenali (Brescia, Roma e Terni) presentarono diversi modelli di Moschetti Automatici, cameranti non più l'anemico 9mm glisenti ma bensì una nuova cartuccia intermedia di calibro 7,65mm.
Nel 1924, alla fine del primo giro di sperimentazioni in cui vennero rifiutati tutti gli otto prototipi presentati da Arsenali e ditte private. I principali problemi riscontrati furono:
- Imprecisione tiro a raffica
- Sperpero di munizioni
- Difficoltà di rifornimento
- delicatezza delle parti
- difficoltà di manutenzione
- rapido riscaldamento
Vista la scarsità di fondi del ministero della Guerra negli anni' 20 e la scarsa resa dei prototipi, venne data la precedenza allo sviluppo di una mitragliatrice leggera efficiente. Il Fucile a ripetizione ordinaria negli anni '20 venne sempre visto più come un arma per il tiro di precisione individuale, e meno come un arma utile per le attività della squadra.

Terni mod. 21 Automatic Rifle,
​25 rounds mag

Terni mod. 21 Automatic rifle,
​squad support configuration.
​50 rounds mag and integral bipod


1925-1931
MUNIZIONAMENTO
I​Nel 1926 la Direzione Studi ed Esperienze d'Artiglieria, nella figura del gen. Torretta sanciva la necessità di sviluppare una nuova munizione di almeno 7,5mm per Fucili, Moschetti e Mitragliatrici Leggere, e una munizione più potente, di almeno 8,5mm, per le mitragliatrici pesanti.
Nonostante questa richiesta, venne tentato in parallelo una misura molto più semplice, ovvero un affusolatura della pallottola in 6,5x52, rendendola "spitzer" e modificandola in peso e forma per renderla più performante. Questa ricerca naufragò già nel 1929, non dando i risultati sperati.
Vedendo le buone possibilità di un fucile semiautomatico (al contrario dell'"Arma Automatica" testata nel 1921-23) come arma da distribuire efficientemente alla truppa, nel 1930 vennero emanate nuove direttive per le fabbriche interessate allo sviluppo di prototipi:
-Precisione affidabile fino a 600m (rosata di 4mx4m)
- Perforazione lamiera d'acciaio di 2mm
- Preferenziare una cartuccia in calibro 7,65mm con velocità di 800m/s in modo da poterla eventualmente adottare anche per le mitragliatrici pesanti.
Quest'ultima richiesta venne abbandonata definitivamente nel Settembre del 1931, ritornando a ricercare una cartuccia con pallottola intorno ai 7mm per il fucile e le mitragliatrici leggere (con portata pratica entro i 600m) e una da 7,92 (poi 8mm) per le mitragliatrici pesanti (con portata pratica entro i 2000m). Questi nuovi studi furono portati avanti dalla FARE Terni e dalla Bombrini Parodi Delfino.
Nella stessa richiesta, si presenta finalmente la necessità di poter ricamerare anche le vecchie armi mod.91 e le mitragliatrici leggere alla nuova cartuccia.
Le prime cartucce cal. 7mm sviluppate da Terni avevano un peso di 10g (154gr) e una velocità iniziale di 810m/s contro i 720 m/s della 6,5x52.
Terni sperimentò queste nuove cartucce intermedie convertendo al nuovo calibro il Fucile semiautomatico mod. 1921-28 e convertendo vecchi fucili mod. 91.
ARMAMENTI
Assieme a questi esperimenti vennero comunque analizzati e testati prodotti nazionali ed esteri nei calibri più svariati, per verificare l'affidabilità e le migliori prestazioni che i moderni fucili semiautomatici potevano offrire. Vennero analizzate armi di brevetto Revelli, Pedersen, Solothurn, Scotti, MBT, Beretta.

MBT mod. 26 "Brixia"

Scotti mod.30

Beretta mod. 31
1932-1935
MUNIZIONAMENTO
Nel 1932, il Ministero della guerra, rendendosi conto che lo sviluppo di una nuova munizione stava avendo fin troppi contrattempi, cambiò radicalmente la metodologia di approccio al problema, richiedendo di sviluppare prima la munizione e poi eventualmente un nuovo sistema d'arma, facendo attenzione che con la nuova cartuccia si potessero anche modificare le armi esistenti.
Le nuove direttive per la cartuccia in cal. 7mm furono:
- Capacità vulnerante fino a 1200m
- Precisione adeguata fino ai 500m.
Nel Novembre 1932 il Ministero, probabilmente dietro consigli specifici, ordinò alla B.P.D. e alla S.M.I. di riprendere lo studio su un miglioramento della cartuccia regolamentare da 6,5x52, nella speranza di poter raggiungere prestazioni simili a quelle richieste da una nuova cartuccia in 7mm.
Sia le prove del 6,5x52 che quelle della nuova cartuccia in 7mm non andarono a buon fine.
Con il dispaccio n. 5190 del 18 Marzo 1933 il Ministero decise definitivamente di abbandonare la ricerca sulla cartuccia cal. 7mm, puntando piuttosto alle sperimentazioni di una nuova cartuccia in calibro 8mm per mitragliatrici pesanti, che stava dando buoni frutti.
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ARMAMENTI
Nel Giugno del 1931 il Regio esercito diede alcune indicazioni ad alcune imprese private per una serie di test. La Breda si presentò con il CR31, La MBT con il Mod. 1931 (un mod.1925 accorciato a dimensioni Moschetto per TS, la Scotti si presentò con il suo modello IX e la Si.St.Ar (Azienda di Firenze, finanziatrice dell'Ing. Niccolò Mancini) si presentò con un prototipo purtroppo non reperibile.
Successivamente, nell'Ottobre 1932, l'esercito testò due armi semiautomatiche in 6,5x52, lo Scotti Mod. X e un prototipo di Gino Revelli. Mentre quest'ultimo risultò avere qualche problematica, lo Scotti mod. X, già in fase di produzione limitata per scopi dimostrativi, venne richiesto nel numero di 250 unità per poter svolgere degli addestramenti con alcune unità.
Alla fine del 1933 l'opinione dello Stato Maggiore era che i fucili semiautomatici dovevano armare reparti con compiti speciali sul campo di battaglia, e riteneva i fucili presentati molto interessanti, se pur ancora in fase di sviluppo e nonostante la necessità di adattarla alla nuova cartuccia in fase di sviluppo.

M.B.T. mod. 31

Terni mod.31, Genovesi/Revelli

Breda CR31

Scotti mod. TS (1931)

Scotti mod. IX (1931)

Scotti mod. X (1932)
Pic Courtesy of M. Holmes
1936-1938
MUNIZIONAMENTO​
Dopo l'adozione della cartuccia 8x59 Breda per le mitragliatrici pesanti (Fiat mod. 35 e la successiva Breda mod. 37), il Regio esercito tornò a dedicarsi alla cartuccia per le armi portatili, come fucili e Fucili mitragliatori: nel 1935 la BPD aveva proposto una cartuccia non in 8mm ma in 7,35mm, misura ideale per poter avere una pallottola di un diametro e peso adeguato, ma soprattutto che potesse riutilizzare le vecchie canne da 6,5, adeguatamente rialesate.
La nuova cartuccia venne messa allo studio nel Novembre 1935, ed entro il 25 Maggio 1936 i dettagli iniziali vennero adeguatamente definiti:
- Bossolo da 51mm, pressocchè intercambiabile tra fondello e angolazioni con il precedente da 6,5x52, cambiandone sostanzialmente solo il colletto per ospitare la nuova palla.
- Velocità iniziale di 700 m/s
- Capacità di ciclizzare la Breda mod.30 con canna rialesata
- Massime prestazioni con una canna di circa 520mm ( Lunghezza canna Breda mod.30)
- Palla appuntita da 8 grammi (123gr) con nucleo apicale d'alluminio
- 2,67 grammi (41gr) di nitrocellulosa
Le prime prove, condotte nella seconda metà del 1936 presso il Centro esperienze della fanteria di Civitavecchia, diedero dei risultati non all'altezza delle aspettative: si riscontrarono infatti diverse irregolarità di Combustione della nitrocellulosa, con conseguente bassa precisione ed alta dispersione sui bersagli. La ciclizzazione dei Fucili Mitragliatori mod. 30 con canna rialesata invece risultava soddisfacente.
​Il progetto dimostrava comunque un buon potenziale, pertanto il Pirotecnico di Bologna fu incaricato di risolvere le varie problematiche. Questo impiegò più di un anno per mettere a punto tutte le specifiche della cartuccia definitiva, che manteneva complessivamente le stesse specifiche del prototipo, migliorando però la carica e conseguentemente precisione e dispersione.
La versione definitiva della Cartuccia da 7,35x51 venne approntata nei primi mesi del 1938, per quanto sulla carta le specifiche risultavano ancora "provvisorie" a Gennaio 1939.
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ARMAMENTI
Fucile mod.38
Tra il 1936 e il 1937 l'ingegnere Roberto Boragine, del Servizio Tecnico Armi e Munizioni sviluppò i dettagli del Fucile mod. 38 seguendo le specifiche della nuova cartuccia da 7,35, e progettandolo in modo da poter sfruttare i vecchi fucili mod.91 ormai consumati.
Con la circolare n.4043 del 25 Marzo 1938 Vennero ufficialmente adottati i Fucili e i moschetti mod.38, e ne venne avviata la produzione, convertendo Fucili e moschetti mod. 91.
Al Novembre 1938 risultavano circa 2.080.000 armi mod.91 (Fucili e Moschetti, in condizioni operative), pertanto venne indicata una prima commessa per la conversione di 621.000 Fucili mod. 38, principalmente per coprire le armi fuori uso o cedute ad altri enti (MVSN, GIL, ecc.), accompagnata da una commessa di diverse centinaia di migliaia di Moschetti mod. 38, sia Cavalleria che TS.
Il costo di queste conversioni era di 76,40 lire per i Fucili (che dovevano produrre una nuova calciatura e le relative parti metalliche) e di 71 lire per i Moschetti, abbassabile a 25 lire riciclando la vecchia baionetta. Ulteriore risparmio venne ritrovato nella conversione dei moschetti riutilizzando le vecchie calciature per il Tromboncino mod. 28.

Fucili semiautomatici
Nel Gennaio 1938 venne indetto un primo concorso tra le varie ditte italiane per la definizione di una Pistola Mitragliatice (Moschetto Automatico) e di un Fucile Semiautomatico nel nuovo calibro 7,35. In questa prima tranche nessuno dei sette modelli candidati (Tre offerti dalla Scotti, un modello Revelli-Armaguerra, un modello Beretta, un modello Breda, un modello Terni) risultò raggiungere i requisiti imposti dalla commissione del Regio Esercito.
Una seconda tranche venne indetta per il Settembre 1938, aprendola anche ad altre ditte interessate. I requisiti definitivi per il fucile semiautomatico dovevano essere:
- Calibro 7,35x51
- Canna lunghezza 535mm
- Lunghezza totale 1,1m
- Peso, Baionetta inclusa, 4kg
- Caricamento tramite lastrine mod.91
- Esclusione dei modelli a presa diretta di gas
- Massima semplicità e robustezza.
- massimo 8 MOA in fase di sperimentazione
- Alzo unico, regolabile da 100 a 500m
- Sicurezza manuale, con immobilizzazione del percussore
A questa seconda sessione parteciparono:

Terni (Genovesi/Revelli)

Breda CR5

Beretta Mod. 37 (Marangoni)

Scotti mod. 38 (XVI?)

F.N.A. mod. 38 (Pavesi)
​Pic made by Salle

Armaguerra mod. 38 (Revelli)
Pic made by Salle




Si.St.Ar - Firenze (Mancini, patents only)
Al termine delle diverse sessioni del bando, venne indicato come vincitore il fucile proposto dall'Armaguerra, che venne ufficialmente adottato come Fucile mod.39 il 26 Luglio 1939.
Il Regio Esercito Avanzò un ordine di 50.000 fucili (poi aumentati a 103.000), pertanto il consiglio di amministrazione della Revelli Manifattura Armiguerra decise di aprire una fabbrica in proprio, invece di limitarsi a concedere in licenza la produzione del mod.39 ad un'altra azienda.
L’Armaguerra non fece in tempo ad allestire le linee di produzione del Fucile semiautomatico mod.39 che il Ministero della guerra interruppe bruscamente l'intero progetto mod.38 e del mod.39 a causa della prossima entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale.

Armaguerra mod. 39 nella sua configurazione finale, in 6,5x52, inizio 1940.
La canna è stata allungata per sfruttare meglio il potenziale del 6,5x52.
Le mire erano regolabili e non fisse come nei prototipi in 7.35.
Ne furono prodotte solo 200 unità prima che la produzione venisse definitivamente annullata.
Foto da Rock Island Auction
Già nell'Agosto del 1939 i Tedeschi avevano chiesto agli italiani se fossero disposti ad intervenire al loro fianco in un'eventuale conflitto europeo: ma mussolini, Ciano e i generali dello Stato Maggiore, descrivendo lo stato dell'esercito in piena fase di ammodernamento e in piena carenza di materie prime per portarlo a termine (ma soprattutto in mancanza del tempo utile necessario), non poterono far altro che inviare all'alleato una lista dettagliata delle materie prime necessarie a sostenere lo sforzo bellico per alcuni anni e per permettere l'ammodernamento dell'equipaggiamento. Questa lista, passata alla storia come "Lista del Molibdeno", fece rendere conto ai tedeschi che gli italiani sarebbero stati fuori dai giochi, ma in ogni caso hitler sperava ancora che Francia e Regno Unito non sarebbero intervenuti a difesa della Polonia.
Vedendo che ormai la preannunciata Nuova Guerra Europea era arrivata, per quanto ben prima del previsto (nessun paese europeo era veramente pronto ad un nuovo conflitto, i riarmi di tutte le nazioni indicavano una piena efficienza solo entro il biennio 1941-42), lo Stato Maggiore Italiano si rese conto di dover correre ai ripari: l'aggiornamento delle armi al nuovo calibro, benché in stato avanzato e con le linee di produzione in costante miglioramento, non avrebbe potuto garantire la copertura minima di armamenti necessaria ad un conflitto prolungato ( all'incirca 1 milione di armi per armare le truppe di prima linea, 3 milioni per coprire la mobilitazione completa).
Pertanto nel Dicembre 1939 prese la drastica decisione di interrompere la produzione di armi in 7,35x51, convertendo le linee di produzione di queste al 6,5x52, mantenendo inalterati i modelli prodotti (Fucili corti, moschetti a tacca fissa).
Le armi in 7,35 già distribuite vennero ritirate dalle poche unità in cui era stato già distribuito. Questi fucili vennero successivamente in parte venduti alla Finlandia nel Febbraio 1940 (100.000 unità, di cui ne arriveranno 94.500 a destinazione), in parte distribuiti alla GIL (in cambio delle 452.000 armi mod.91 in loro possesso) ed alla difesa controaerei territoriale o immagazzinati.
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