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FUCILE MODELLO 1938

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Nota dell'Autore:

Il Fucile Mod. 38 in 7,35 fu chiamato in modo intercambiabile "Fucile Mod.38", "Fucile mod. 91/38" "Fucile Corto in 7,35", "Fucile Corto Mod.38" nel breve lasso di tempo in cui l'Esercito lo distribuì alle varie unità.
Per facilitare la comprensione ai neofiti e ai veterani ho utilizzato la terminologia classica, "Fucile Corto".
Utilizzerò anche "Mod.38" per indicare tutte le armi in 7,35x51 e "Mod. 91/38" per indicare tutte le armi con caratteristiche mod.38 ma prodotte in 6,5x52 dopo il 1940, visto che apparentemente questo è il consenso generale che il mondo collezionisto sta cercando di seguire nella denominazione dei Carcano.

SVILUPPO

Come abbiamo discusso nel capitolo dedicato al Moschetto per T.S. e nella sezione del mod. 91/24, il Regio Esercito italiano imparò a proprie spese diversi insegnamenti dalla Prima Guerra Mondiale e dai successivi scontri coloniali in Libia e lungo il confine etiope:
- I fucili lunghi erano decisamente troppo ingombranti e voluminosi da portare in giro, soprattutto con le colonne motorizzate in un teatro coloniale.
- L'ogiva del 6,5x52 a punta arrotondata, pur avendo una buona penetrazione e precisione a lunga distanza, mancava di balistica terminale in termini di potere d'arresto. Inoltre, poiché la maggior parte dei combattimenti di fanteria avvenivano entro un raggio di 4-500 metri, questo aspetto doveva essere preso in considerazione per l'adozione di qualsiasi nuova cartuccia.
- Il fucile non aveva più lo stesso ruolo che aveva nel 1891, quando intere unità di fanteria dovevano effettuare salve per risolvere scontri diretti, avanzare compatti e addirittura fare tiro di interdizione per prevenire le azioni nemiche. Dopo la prima guerra mondiale Mitragliatrici, mortai e altre armi di supporto erano andate a ricoprire la maggior parte di questi ruoli tattici, lasciando il fucile solo come arma individuale utile a coprire i mitraglieri durante gli assalti e per effettuare tiri di precisione contro obbiettivi specifici.
- La mancanza di pezzi di artiglieria trainati richiese un miglioramento della potenza di fuoco "pesante" sul piano tattico (da qui nacquero il Tromboncino mod.28 e i conseguenti mortai leggeri)
- Le squadre di fanteria non avevano una potenza di fuoco decente per offrire copertura durante l'avanzata (per cui fu adottato il Fucile Automatico Breda mod. 30 ).
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​Negli anni '20 si cercò di sviluppare l'ogiva oblunga delle munizioni 6,5x52, in particolarecercando di fornirle di una ogiva più moderna, tipo  Spitzer, ma questa ricerca non andò oltre il livello sperimentale.
C'era una chiara necessità di un proiettile Spitzer di calibro maggiore, possibilmente in calibro 8 mm, soprattutto per il ruolo desiderato nelle mitragliatrici pesanti.
Alla fine il Regio Esercito decise di adottare una munizione diversa e ben più performante nelle mitragliatrici pesanti, adottando la cartuccia 8x59mm sviluppata dalla Breda, la cui produzione iniziò nel 1935 per le Mitragliatrici d'accompagnamento Fiat mod.14/35 (ottenute convertendo le vecchie mod.1914) e per le nuovissime mitragliatrici pesanti Breda mod.37.

Per la cartuccia invece, il cui scopo era quello di alimentare sia fucili, moschetti e Fucili Mitragliatori, lo sviluppo si concentrò per soddisfare le seguenti richieste:
- Migliorare le qualità balistiche terminali entro 4-500 metri, utilizzando un proiettile più leggero, di calibro tra i 7,5 e gli 8mm, sparato da una canna più corta di quella del Fucile mod.91 ma più lunga di quella dei moschetti.
- Condividere quante più specifiche possibili con la cartuccia 6.5x52, al fine di semplificare la produzione di nuove munizioni e nuove armi e, se possibile, per facilitare le conversioni dei sistema d'arma precedenti. Quindi il nuovo proiettile doveva, se possibile, condividere le stesse camere di cartuccia, le stesse lastrine per fucile, lo stesso fondello, ecc.

Uno dei possibili esperimenti del Mod.38 potrebbe essere emerso recentemente dai magazzini di Terni. Qui infatti è stato ritrovato un Moschetto "Extra Large", con particolari interessanti:
- Canna lunga circa 500mm ottenuta da un Fucile mod.91 del 1936
- Tacca di mira del moschetto tenuta in posizione con un anello simile a quello usato per la tacca di mira dei Fucili mod.91
- Calciatura allungata e con una scanalatura per impugnare meglio l'arma, pressocchè identica a quella usata successivamente nei Fucili mod.38.

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Il risultato finale, ottenuto nel 1937 dopo alcuni anni di studio da Giuseppe Mainardi e dal settore Ricerca e Sviluppo della SMI (Società Metallurgica Italiana), fu il miglior compromesso che queste specifiche potessero soddisfare, ossia il famigerato 7.35x51.
La nuova cartuccia condivideva fondello, forma generale del bossolo col suo predecessore, in modo tale da poter sfruttare lo stesso manuale d'armi e meccanismi utilizzati dalle armi mod.91 e dai fucili mitragliatori, cambiando semplicemente il calibro della canna .
Dal punto di vista della pressione e della velocità alla volata, la balistica esterna era buona, abbastanza simile al 6.5 grazie ad una palla più leggera (123 g contro i 162 del 6.5), e una carica di nitrocellulosa;
Anche la balistica terminale era piuttosto efficiente, grazie al proiettile Spitzer da 7,65 mm (.300") dotato di una punta in alluminio sopra il nucleo di piombo del proiettile.

Il piano per implementare questa nuova cartuccia con l'esercito era piuttosto interessante.
Le tattiche della squadra fucilieri continuavano a concentrarsi su due armi, il Fucile Automatico, che era la mod Breda mod. 30 convertito in 7,35 e un fucile a ripetizione ordinaria a tutti gli altri membri della squadra per offrire fuoco di copertura.
Oltre a questi, era prevista l'adozione di un fucile semiautomatico (che poi divenne l'Armaguerra mod.39) per equipaggiare i migliori tiratori della squadra (teoricamente 3/4 membri, sottufficiali compresi), in modo da sfruttare il calibro 7,35x51 in un ruolo più specifico, da tiratore scelto.
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Il fucile a ripetizione, ovviamente,  sviluppato nel 1937-1938 dal Maggiore Roberto Boragine ed dal Generale Federico Capaldo attorno alla nuova cartuccia, divenne il Fucile corto modello 1938.
Il Fucile mod.38 aveva le seguenti caratteristiche:
- Canna di lunghezza intermedia, di 538mm contro i 780mm del vecchio Fucile e i 445mm del Moschetto, ottima per la nuova cartuccia
- Rigatura a passo costante
- Ingrossamento della canna arrotondato, come i Moschetti avevano cominciato ad implementare nella produzione a partire dal 1935
- Nuovo calcio proprietario, con l'utilizzo di magliette laterali e calciolo con sportellino per riporre l'astina di pulizia in 3 pezzi, concetto preso  direttamente dalla produzione dei Moschetti.
- Nuove mire fisse, con esattezza a 200 m, perfette per gli ingaggi rapidi e per il fuoco di copertura che la squadra fucilieri avrebbe dovuto fornire ai mitraglieri;
- Nuova baionetta pieghevole, più piccola e pratica delle vecchie baionette a Sciabola, da poter tenere sempre sul fucile, con apposita fessura nel calcio del fucile per ripiegare la lama.

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PRODUCTION AND USE

Il primo lotto di Fucili mod. 38 venne prodotto dall'arsenale di Terni: i primi 30,000 furono prodotti con calciatura ed astina più lunghi, abbastanza simili nelle proporzioni a quelli dei primi Moschetti per T.S.; Il bocchino era unico per questa versione. L'attacco per la baionetta in questa prima versione aveva una foratura allungata per ospitare la vite del bocchino.

Anche la ditta Beretta ha utilizzato queste calciature, probabilmente fornite direttamente da Terni, per produrre il suo primo lotto, con prefisso  UA.

Le calciature di primo tipo vennero presto sostituite nella produzione con il modello più noto che tutti conosciamo, con astina più corta, la fascetta centrale, il bocchino allungato e l'attacco per la baionetta fresata con un semplice foro per ospitare la vite del bocchino.

Le motivazioni formali per questo cambio di calciatura non sono ancora note.
​Secondo l'autore questo cambiamento è legato al fatto che la lunga astina risulta essere piuttosto fragile e che le magliette per la cinghia erano troppo distanti tra loro, rendendo le cinghie del moschetto usate su questi fucili piuttosto strette e scomode da usare quando il fucile veniva portato trasversalmente sulla schiena.

I primi lotti di Fucili mod.38 vennero ottenuti convertendo completamente i vecchi Fucili mod.91, accorciando e assottigliando la canna, arrotondando l'ingrossamento "ottagonale" della canna, forando la canna a 7,35mm e rigandola a 7,50 , eliminando le vecchie mire a tangente per le nuove mire fisse, posizionando i mirini all'estremità della canna accorciata.
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La pratica di riconversione dei vecchi Fucili consumati è continuata durante la produzione del Fucile corto mod. 38, quindi è abbastanza frequente vedere sull'ingrossamento della canna i vecchi punzoni consumati, appartenenti ala canna originale.

 

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Vestiges of the donor barrel markings can be found rather frequently on Mod.38 short rifles barrel shanks.

La produzione del nuovo Fucile mod.38 fu portata avanti da Terni, Gardone V.T., e da aziende private come Beretta e FNA, che dagli anni '30 divennero parte integrante dell'industria bellica italiana, essendo coinvolte nella maggior parte delle commesse e produzioni dell'Esercito.​La produzione totale tra il 1938 e il 1940 raggiunse circa 280.000 unità.​

​La produzione di queste armi venne bloccata tra la fine del 1939 e l'inizio del 1940, quando divenne evidente che presto il Regio esercito avrebbe dovuto prendere parte alla Seconda Guerra Mondiale che stava imperversando. Il ministero si rese presto conto  l'adozione di una nuova cartuccia con tre nuovi diversi sistemi di armi (Carcano mod.38, Breda mod. 30 e Armaguerra mod. 39) in un'economia già in difficoltà (l'Italia praticamente non aveva accesso alla maggior parte delle sue precedenti fonti di materie prime estere dal settembre 1939) sarebbe stata una strategia disastrosa, sia dal punto di vista produttivo che logistico.
Ecco perché si decise di riportare la produzione dei Fucili e Moschetti al 6,5x52, introducendo il Fucile corto mod.91/38. Questo era sostanzialmente lo stesso identico fucile, forato e tarato per il 6,5x52, con le mire fisse tarate per l'esattezza a 300 m come nelle armi mod.91 precedenti.

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IL MOD.38 NELL'ESERCITO FINLANDESE

Cercando di portare il maggior numero possibile di armi mod.38 in 7.35 il più lontano possibile dalle linee logistiche, l'esercito e il governo italiano stipularono nel Gennaio 1940 un accordo per vendere 100.000 fucili mod.38 alla Finlandia, disperatamente bisognosa di armi per affrontare la Guerra d'Inverno contro l'Unione Sovietica. 
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Di questi 100.000 fucili, solo 94.500 raggiunsero il territorio finlandese, e solo dopo la fine della Guerra d'Inverno. Questo rallentamento fu dovuto alla Germania, che bloccò i treni carichi di rifornimenti italiani per non inimicarsi l'Unione Sovietica, con la quale aveva firmato il patto Molotov Ribbentrop, dividendosi le sfere di infuenza.

I Finlandesi modificarono il mirino di queste armi, alzandolo e portando così l'esattezza a 100m anzichè i 200m di fabbrica.

Quando un anno dopo scoppiò la Guerra di Continuazione, la Finlandia fece buon uso dei fucili Mod.38, armando la popolazione locale contro i "partigiani" sovietici e armando le unità delle retrovie.

A quanto pare il Fucile corto non era molto amato dal soldato finlandese, soprattutto perché:
- Il soldato finlandese è ben addestrato nel tiro di precisone, quindi la tacca di mira fissa dell'M38 era di scarsa utilità sulle lunghe distanze e per le abitudini di tiro Finniche.
​- le munizioni in 7,35 venduti alla Finlandia assieme ai fucili non erano apparentemente all'altezza delle aspettative (o forse erano state conservate male), con conseguenti prestazioni piuttosto scadenti sul campo e innumerevoli inneschi fallati.

​La Finlandia studiò una tacca di mira regolabile per migliorare l'uso attivo di queste armi, ma la guerra di continuazione finì prima che potessero implementarla in qualsiasi forma. Così semplicemente stivarono nei magazzini i 74,000 fucili sopravvissuti alla guerra, finché non li vendettero tutti alla ditta americana Interarms nel 1957.

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Il Mod. 38 in Servizio in Italia

il resto dei fucili Mod. 38 in 7,35 rimasti in Italia furono utilizzati per lo più in unità secondarie, da milizie locali e coloniali, per addestramenti, azioni di polizia e ruoli simili. In generale vennero tenuti il più lontano possibile dalle linee del fronte e dalle linee di rifornimento dell'esercito.
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​Queste armi hanno un'enorme marchio "Cal. 7.35" sul lato sinistro del calcio, in modo da riconoscere a colpo d'occhio l'arma dai suoi cloni in 6,5x52 (un po' simile come concetto all'enorme "nove rosso" sull'impugnatura delle C96 in 9mm).

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