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FUCILE MODELLO 1891

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SVILUPPO

Dopo che la Francia rivelò al mondo il fucile Lebel M1886 e le sue munizioni a polvere infume, tutte le grandi potenze fecero a gara per ottenere questa nuova tecnologia il prima possibile. L'Italia decise di investire tempo e denaro in un fucile completamente nuovo, costruito attorno a una cartuccia nuova di zecca, e così comiciò a sviluppare in contemporanea la polvere da mettere nella nuova cartuccia e le specifiche della stessa, prima di passare al fucile.

I tecnici Italiani furono aiutati a raggiungere questo obiettivo in tempi relativamente brevi grazie ad Alfred Nobel, inventore della dinamite, che nel 1887 brevettò la sua formula per la polvere infume, conosciuta commercialmente come Balistite. Poiché il governo francese respinse l’ipotesi di adottare la Balistite, Nobel la offrì al Regno d'Italia, che accettò e ne iniziò la produzione nel 1889.
L'Italia in quel periodo era alleata con Austria e Germania nella Triplice Alleanza, quindi tecnicamente un possibile nemico per la Francia: per questo Nobel venne accusato di tradimento per aver venduto tecnologia militare ad una potenza nemica e, sostanzialmente esiliato, visse i suoi ultimi anni in Italia.

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Così, mentre la ricerca per la nuova cartuccia e per il fucile continuava, il Regio Esercito decise di adottare la Balistite nei suoi vecchi fucili Vetterli, convertendone centinaia di migliaia alle nuove munizioni M.° 90, semplicemente modificandone l’alzo per le nuove prestazioni balistiche.

Nel frattempo la commissione per il nuovo sistema d’arma stabilì l’adozione della nuova cartuccia, il 6,5x52 (i primi esemplari con bossolo orlato, rimmed), che era promettente in termini di balistica e penetrazione dei materiali, ma mostrava due problematiche nelle canne sperimentate: la balistite era piuttosto esigente in termini di temperature e pressioni, erodendo le canne ad un rateo elevato, mentre i proiettili, probabilmente non fabbricati secondo specifiche adeguate, tendevano a sfaldarsi attraversando la canna, provocando una precisione terribile e lasciando dei residui problematici. Questo venne risolto adottando una canna con rigatura progressiva, che avrebbe dovuto ridurre lo stress sul proiettile in uscita, facendolo ruotare a un ritmo più lento durante la sua uscita. Oltretutto, visto che le canne dovevano essere prodotti con acciaio puro, senza materiali rari di rinforzo, la canna venne progettata con rigature più profonde del solito, quasi 30 centesimi di millimetro, contro i 15 usati dagli altri fucili dell’epoca. 

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​Una volta trovati il ​​proiettile e la rigatura giusti, vennero sperimentati diversi modelli di fucile, offerti da arsenali nazionali, fabbriche e progettisti stranieri (Mauser e Mannlicher risultarono i più promettenti). La commissione alla fine decise di adottare un fucile con azione sviluppata da Salvatore Carcano (ingegnere esperto e capo tecnico dell'Arsenale di Torino) ispirandosi ai primi progetti della Mauser, e utilizzando un caricatore di tipo Mannlicher prodotto su licenza (pagando 300.000 lire per la licenza di produzione), ispirato al sistema di caricamento del fucile tedesco Kommissiongewehr M1888. Il fucile fu adottato formalmente nel marzo 1892 e la produzione iniziò subito dopo.

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PRODUZIONE ED USO

La produzione del Fucile mod.91 iniziò nel 1892 a Terni (producendo il prefisso A-N) e Torino (O-V), seguite a ruota da Brescia (1893) e Torre Annunziata (1893, producendo il prefisso W-Z). La produzione iniziale aiutò a comprendere i colli di bottiglia e i problemi nella produzione di massa: ​
I primi fucili avevano la base delle mire anteriori e posteriori solidali alla canna, un'astina (copricanna) corta con linguetta metallica e un vitone di rinforzo esposto, che attraversava il calcio da parte a parte.

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Queste minuterie vennero semplificate montando le mire su anelli, creando uno spazio apposito nel calcio per un rinforzo interno ed adottando un copricanna leggermente più lungo che inglobasse la fascetta (quest'ultimo introdotto nel 1906, atto n.88 del 10 aprile).

Una volta risolti tutti questi problemi, la produzione principale riprese nel 1895, con una produzione destinata a sostituire tutti i vecchi fucili Vetterli ancora in servizio. ​

Dopo questo grande sforzo iniziale, a cavallo del secolo gran parte dei vecchi arsenali produttivi (Fabbriche d'armi di Torino e Torre Annunziata) furono dismessi dalla produzione, lasciando solo Terni a coprire la produzione nazionale di Fucili con i rispettivi accessori e ricambi, mentre la Fabbrica d’Armi di Brescia venne mantenuto per la produzione dei Moschetti. ​

​​Tutte le armi mod.91 fino al 1912 vennero prodotte con l'estrattore che passava attraverso il tenone dell’otturatore, con due forme distinte:
- Il primo estrattore (Denominato semplicemente Vecchio Tipo al momento dell'aggiornamento) consisteva in un unghia relativamente piccola e distinta dal modello successivo dalla presenza di spigoli vivi.
- Nel 1902-1903 venne introdotto un nuovo estrattore (Denominato Nuovo Tipo), più allungato e dalle forme più curve ed addolcite.
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Dopo il 1912 l'estrattore venne fatto passare dall'esterno del tenone, scendendo da sopra anziché dal lato (Circolare n.40 del 28 Gennaio 1913).

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Evoluzione degli estrattori nelle armi mod. 91

Fucile mod. 91 per truppe cicliste

Intorno al 1914 il Ministero della Guerra sostituì i moschetti assegnati alle truppe cicliste (soprattutto Bersaglieri, ma anche altre unità dell'esercito li avevano) con il Fucile mod.91, già in uso presso gli altri reparti di Bersaglieri.

​Poiché i ciclisti dovevano portare i fucili trasversalmente sulla schiena mentre si spostavano sui mezzi, i loro fucili vennero modificati aggiungendo degli attacchi laterali per le cinghie simili a quelli dei Moschetti, rimuovendo al contempo gli attacchi inferiori, intarsiandone i fori. Questa conversione venne effettuata presso le armerie e le officine reggimentali (o anche dalle Direzioni di Artiglieria), con parti inviate direttamente dall’arsenale di Brescia e di Terni.

Prima Guerra Mondiale

Durante la Prima Guerra Mondiale la produzione del Fucile mod.91 crebbe esponenzialmente, e il pesante tributo che la guerra di trincea imponeva a materiali e industrie si rivelò essere un pesante fardello per il sistema industriale e logistico del Regno d'Italia. ​ L'Arsenale di Terni produsse sostanzialmente circa 2 milioni di fucili nel periodo 1915-1919 (con quasi 2000 armi prodotte al giorno nel 1918), ma la produzione mensile di Terni all’inizio del conflitto non era sufficiente, quindi furono presto necessari gli interventi di ditte ausiliarie per mantenere le truppe di prima linea costantemente armate e rifornite.

Come primo ripiego, venne installata una nuova linea di produzione presso l’officina di Costruzione d’Artiglieria di Roma, costituita nel 1916, che iniziò la produzione di canne nel 1917 (circa 240mila canne prodotte, da OR-A a OR-Z), molto probabilmente ricevendo altre parti e componenti da Terni e da altri produttori. ​

​Dopodichè venne coinvolta anche l'industria privata MIDA (Manifattura Italiana di Armi), che produsse circa 134.000 fucili attraverso due grossi contratti dell'Esercito, uno da 100.000 fucili nel Novembre 1915 e uno da 50.000 fucili nel Settembre 1918.

Prede Belliche Austro-Ungariche- AZF

Durante la prima guerra mondiale furono catturate dall'Esercito Imperial Regio (comunemente definito Austro-Ungarico) centinaia di migliaia di fucili mod.91, sia durante le 11 battaglie dell'Isonzo che, soprattutto, dopo la disfatta di Caporetto.

Gli austriaci, alla costante ricerca di armamenti per le loro forze armate di seconda linea, riciclarono decine di migliaia di questi fucili.
In particolare, non avendo prima del novembre 1917 accesso ad un numero sufficiente di munizioni in 6,5x52 italiane, procedettero alla conversione di circa 60.000 fucili al calibro 6,5x54 Mannlicher Schonauer, prodotto dalle fabbriche austriache per l'esercito greco fino al 1914.

​Questi fucili vennero convertiti dall' Artillerie Zeug Fabrik, l'Arsenale di Stato Austriaco, che appose il suo marchio, AZF, sulle canne dei fucili ispezionati e modificati. Alcune volte compare un 7 (o una L rovesciata) e alcune dentature circolari, indicatore standard delle riarsenalizzazioni sulle armi dell'Esercito Imperial Regio.

Così modificati e pronti all'uso, questi fucili vennero distribuiti a diverse unità secondarie dell'Esercito Imperial Regio: possiamo vederli nelle mani di genieri, gendarmi ed altre unità di supporto operanti vicino alle linee del fronte, quindi esposte a possibili incursioni nemiche.
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Non è ancora sicuro se tutti i fucili marchiati AZF siano stati effettivamente convertiti al 6,5x54MS, specialmente vista la quantità di munizioni ed armi catturate dopo Caporetto.

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Periodo Interbellico

Dopo questo enorme sforzo e con l'economia statale paralizzata dai debiti, l’Italia dovette interrompere la produzione di nuove armi. Per riuscire a mantenere gli operai specializzati dell'Arsenale di Terni concentrandosi su riparazioni riarsenalizzazioni, come le canne "Tubate" con il metodo Salerno e lo sviluppo del mod. 91/24.

Con un'enorme scorta di fucili in grado di coprire la maggior parte delle esigenze del paese, la produzione di fucili lunghi fu sospesa. ​ ​Anche quando il riarmo era visto come una necessità per le guerre coloniali in Libia ed Etiopia, l’esercito si concentrò innanzitutto sulla produzione di ST (dal 1928 in poi).

Ciò era dovuto principalmente al fatto che il TS era corto, facile da trasportare sui camion delle colonne motorizzate negli spazi sconfinati del deserto libico e delle alture etiopi.

I Fucile mod.91 venivano spesso forniti anche alle truppe di supporto, come gli Ascari.

Seconda Guerra Mondiale

Quando la produzione ricominciò nel 1933, si trattò di un piccolo lotto di 260.000 fucili prodotti nell'arco di 3 anni (2A-2Z).

Oltre alla lunghezza e all'ingombro eccessivo del Fucile mod.91 in un contesto di guerra moderna, un altro problema sollevato dalla Prima Guerra Mondiale e dagli scontri coloniali era la mancanza di balistica terminale dei proiettili in 6,5, specialmente sulle truppe avversarie attaccanti. Dopo circa un decennio di ricerca e sviluppo (anche con sperimentazioni sui proiettili in 6,5), il Regio Esercito adottò la famigerata cartuccia 7.35x51, sviluppando la famiglia  di Fucili e moschetti mod.38 e adottando il fucile semiautomatico Armaguerra mod.39.​

Nonostante la volontà dell'Esercito Italiano di sostituire integralmente il Fucile mod.91 con il Fucile mod.38 e con l'Armaguerra mod.39 in 7,35, a causa dell'entrata dell'Italia nel secondo conflitto mondiale l'intero progetto dovette essere abbandonato.
Mentre la produzione del fucile mod.38 in 7.35 venne riconvertita al fucile mod.91/38 in 6,5x52, il Fucile mod. Il 1891 nel Giugno 1940 era ancora il fucile individuale più diffuso nel Regio Esercito, e continuerà ad armare la maggior parte delle squadre di fanteria fino all'Armstizio dell'8 settembre 1943.

Armi catturate dai Tedeschi

Dopo che le forze tedesche invasero l'Italia con l'operazione Achse nel settembre 1943, si ritrovarono con enormi scorte di Fucili  e moschetti mod. 91.
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Questi furono consegnati alle forze collaborazioniste italiane dell'RSI, vennero catturate dai partigiani, ma sono spesso viste anche nelle mani di unità tedesche in Italia e nella stessa Germania.​
Molti di questi fucili finirono infatti per armare diverse unità della Volkssturm, e si possono vedere regolarmente spuntare Fucili mod.91 dalle pile di armi accatastate durante la resa delle forze tedesche negli ultimi disperati giorni della Seconda Guerra Mondiale.

Nessun Fucile mod.91 sembra essere stato convertito in 8x57JS, probabilmente per il suo ingombro eccessivo e per l'età/usura complessiva delle armi in questione.

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