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 "TYPE  I"
Il Carcano Giapponese

general infos on Carcano

NdA:

come già affermato nell'introduzione e nelle fonti, questo articolo non avrebbe potuto essere realizzato senza le scoperte iniziali di Aaron Zou, senza la discussione di J. Anderson su Gunboards e il conseguente video su Youtube. L'intera pagina è stata realizzata in stretta collaborazione con Anderson, che non posso ringraziare abbastanza per il suo supporto a questo sito web e per la sua amicizia. Vorrei anche ringraziare C&Rsenal per il loro video su Youtube basato in gran parte su questo articolo, sono davvero grato per il loro riconoscimento e per la loro dedizione nel creare documentari appassionati sulle nostre amate ex-ordinanza. Un ringraziamento speciale a JeromeZP per il suo aiuto!

I Giapponesi indicavano il fucile "Type I" con diverse nomenclature, in diversi documenti e rapporti.
I più comuni sono “fucile di tipo italiano” (イ式小銃), “fucile italiano” (伊式小銃) o “fucile modificato di fabbricazione italiana” (伊太利製改造小銃).
Lo si può spesso trovare sul mercato collezionistico e divulgativo come "Tipo I", "Carcano-Arisaka", "Arisaka italiano" o "Carcano giapponese".

Quest'arma è rimasta un mistero per decenni: si trattava di un'arma prodotta in Italia, su richiesta giapponese, per armare pochissime unità giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Per decenni si è pensato ad un contratto della Marina Giapponese, in quanto la gran parte di queste armi venne ritrovato dai soldati Americani nelle mani di diverse unità della Marina Imperiale giapponese.
Alcuni autori fantasiosi, considerando che le consegne fossero avvenute in "tempo di guerra" dopo il Settembre del 1939, sostennero che questi fucili furono addirittura consegnati tramite Sottomarini. Per quanto degli scambi di materiale tra Italia e Giappone vennero effettuati davvero tramite sottomarino durante il secondo conflitto, questi fucili non risultano tra i materiali in questione.

Recenti indagini negli archivi giapponesi (liberamente accessibili tramite il loro database Internet), avviate dai collezionisti e ricercatori Aaron Zou J. Anderson insieme ad alcuni collaboratori, hanno finalmente offerto alcune risposte a questo enigma orientale;  in questa pagina mi sono permesso di ampliare le ricerche e di aggiungere dei cenni storici per una migliore fruizione.

CENNI STORICI

La storia del Tipo I ha inizio nel 1937, quando i diplomatici Italiani e Giapponesi stavano cercando di stringere legami più forti con la Germania di Hitler.

Fino al 1936 e alla campagna d'Etiopia, Mussolini vedeva Hitler come un problema non indifferente, sia per lo scacchiere europeo che per gli interessi diretti dell'Italia.
Hitler, infatti, voleva estendere i confini tedeschi annettendo l'Austria, da anni nazione amica dell'Italia (ci tentarono già nel 1934 e solo l'intervento di Mussolini, schierando l'esercito al Brennero, riuscì ad impedirlo), ed espandere l'influenza tedesca nel bacino del Danubio e nei Balcani.
In particolare, Mussolini non vedeva di buon occhio il fatto che Hitler, per raggiungere questi obbiettivi, stesse stringendo solide relazioni diplomatiche con il Regno di Jugoslavia, principale antagonista delle mire italiane nei Balcani.

L'Italia, invece, si stava allineando diplomaticamente alla Francia dopo il 9 ottobre 1934, quando il re di Jugoslavia Alessandro I venne assassinato a Marsiglia, insieme al ministro degli Esteri francese anti-italiano Barthou.
Il nuovo ministro degli Esteri francese, Pierre Laval, voleva l’Italia al suo fianco in una coalizione antitedesca e sembrava che la cosa potesse funzionare, arrivando addirittura a siglare gli Accordi di Stresa. Ma, quando Mussolini decise di invadere l’Etiopia per risolvere le dispute di confine ed aumentare la sua popolarità, il governo Francese fu costretto dall'opinione pubblica ad unirsi all’Inghilterra e al resto della diplomazia internazionale nel sanzionare l’aggressione dell’Italia ad un paese libero e membro della Società delle Nazioni.

Questo isolamento diplomatico portò Mussolini a riconsiderare i rapporti con la Germania di Hitler, e, così, la politica italiana andò lentamente ad allinearsi con quella tedesca. La Germania riconobbe l'annessione italiana dell'Etiopia il 24 ottobre 1936 e, il giorno successivo, i due paesi firmarono i Protocolli di Berlino, un trattato di amicizia e cooperazione, che gettava le basi dell'Asse.

Il Giappone temeva a sua volta un isolamento diplomatico: dopo l’invasione della Manciuria nel 1931, criticata e sanzionata a livello internazionale (invasione scatenata dalla semi-autonoma armata del Kwantung), il Paese del Sol Levante dovette trovare un modo per giustificare il suo espansionismo in Asia. Nel 1932 creò lo Stato del Manchukuo, mettendone a capo l’ex imperatore cinese Pu-Yi, in modo da giustificare agli occhi dell'opinione pubblica internazionale il nuovo stato.
Naturalmente il Manchukuo era solo uno stato fantoccio, completamente nelle mani del Giappone e dell'armata del Kwantung.

Quando nel 1935 la Germania firmò un patto navale con la Gran Bretagna, nella vaga speranza di allontanare il Regno Unito dalla sua alleanza con la Francia, la paura giapponese di un isolamento internazionale divenne ancora più forte.
Le relazioni diplomatiche tra la Germania e il Giappone non erano mai state veramente positive, soprattutto perché la Germania aveva enormi interessi e legami militari con il principale antagonista del Giappone, la Cina Nazionalista di Chiang Kai-shek. Ma la paura di un'intesa anglo-tedesca era così grande da spingere la diplomazia nipponica ad osare nei suoi rapporti con il terzo reich.

Fortunatamente, il Giappone trovò un forte alleato in questa impresa in Joachim Von Ribbentrop, che, nonostante non fosse ancora ministro degli Esteri, aveva una grande influenza sulle decisioni di Hitler in fatto politica estera. Ribbentrop riuscì a spingere Hitler i vecchi ministri e generali prussiani a stringere legami più stretti con il Giappone, sostenendo che avessero bisogno di formare un'alleanza in chiave antisovietica. Per convincerli presentò prove tangibili di questa necessità, tra cui il fatto che, nel 1936, l’Unione Sovietica aveva appena lanciato il suo primo grande intervento internazionale, dopo più di dieci anni di quiescenza, aiutando apertamente la Spagna repubblicana inviando carri armati, uomini e armi.

Questo scambio diplomatico tra Germania e Giappone culminò nel patto Anti-Comintern, firmato il 25 novembre 1936; Ribbentrop e Hitler dichiararono apertamente che presto anche l'Italia vi avrebbe aderito.

Così il Giappone cominciò a intessere migliori rapporti diplomatici anche verso l’Italia, per ragioni molto simili a quelle che lo spinsero verso la Germania: creare migliori rapporti internazionali, ottenere competenze tecnologiche (soprattutto legate al mondo dell'aviazione moderna), anche nella speranza che l’Italia tagliasse definitivamente i suoi accordi commerciali con la Cina per le forniture militari .​
Un altro obiettivo importante nel tessere legami diplomatici con l’Italia era il disperato bisogno del Giappone di vedere riconosciuto a livello internazionale il suo stato fantoccio del Manchukuo.
Nel febbraio 1937, per indurre l'Italia a riconoscere al più presto lo Stato del Manchukuo e ad aderire al patto Anti-Comintern, il Ministero della Difesa giapponese sollecitò il Ministro degli Esteri ad aprire delle trattative commerciali.
Nel giugno-luglio dello stesso anno, il Ministero della Difesa cominciò a siglare trattati commerciali a nome dello Stato del Manchukuo, accompagnati da altri ordini per le forze armate nipponiche, come l’acquisto di 72 aerei ultramoderni Fiat BR.20 "Cicogna" (alcune fonti riportano 85 velivoli totali), con motori di riserva, armamentario e parti di ricambio.

Fiat BR20 offloaded from ship

Un bombardiere Fiat BR 20 "Cicogna" viene scaricato nel porto di Dairen (oggi Dalian, Cina)  dalla nave Italiana "Ircania", partita da Livorno il 30 Novembre 1937.  [3]

L'Italia accettò volentieri queste proposte, abbandondonando i precedenti accordi commerciali con la Cina.
La Germania fece lo stesso, ritirando gli addetti militari e qualsiasi fornitura militare alla Cina dopo l'invasione giapponese del luglio 1937.
L'Italia aderì al patto Anti-Comintern il 7 novembre 1937, riconoscendo il Manchukuo il 29 novembre e spedendo, il giorno seguente, al Giappone i primi aerei.

All’interno dei trattati commerciali sopracitati, era presente anche l'ordine dei fucili "Tipo I".

SVILUPPO

Nel 1938 il Ministero della Difesa giapponese offrì al governo italiano, tramite il suo addetto Militare dell'ambasciata, Arisue Seizo, un contratto per la produzione di 130.000 fucili, ufficialmente destinati al "Governo del Manchukuo per scopi di addestramento".

La richiesta era per un'arma completamente nuova, preferibilmente con una meccanica (Manuale d'arma) e un design esterno simile al fucile Type 38 giapponese, all'epoca il fucile d'ordinanza dell'Impero del Sol Levante.
Si richiedeva espressamente che l'arma fosse in calibro 6,5x50 Arisaka e che fosse compatibile con la baionetta Type 30; altre caratteristiche si sarebbero potute discutere e rivedere in base alle necessità produttive. Le armi dovevano essere prodotte senza accessori di sorta e consegnate con le calciature non trattate, in quanto sarebbero state rielaborate dagli Arsenali Giapponesi.
L'importo totale stanziato per questo progetto fu di 10 milioni di yen e la richiesta iniziale era che queste armi venissero consegnate a partire dal dicembre 1938.[1a]

L'Arsenale di Terni progettò un fucile costruito intorno all'azione Carcano (denominato infatti, negli incartamenti interni come "Fucile 91 modificato"), utilizzando calciatura e parti metalliche quasi identiche a quelle utilizzate nel Type 38, compresa la famosa calciatura "spezzata" in due parti. Nel mentre, veniva allestita la linea di produzione per le canne in 6,5x50.

Nel Giugno/Luglio 1938 il ministero della Difesa giapponese e il governo italiano, tramite le missioni diplomatiche in Giappone, iniziarono a scambiarsi una serie di telegrammi per definire i dettagli della produzione finale.​ 

L’Arsenale di Terni offrì due possibilità: [1]
- Un fucile con lastrina integrale tipo “Mannlicher”, come quello in uso nei Carcano, caricabile con clip di tipo italiano, dal costo di 65 yen (350 lire) e pronto per esser consegnato entro 9 mesi.
- Un fucile con serbatoio in stile Mauser, caricabile con lastrine giapponesi, del costo di 75 yen (400 lire) e pronto per essere consegnato entro 12 mesi.

I dettagli finali furono definiti nel settembre 1938, e in Ottobre l'ufficio delle Ordinanze Giapponesi richiese formalmente 130.000 fucili con caricatore tipo Mauser, spendendo un totale complessivo di circa 9,6 milioni di yen dei 10 milioni stanziati. I 400mila yen avanzanti dovevano essere utilizzati per acquistare altre munizioni antiaeree dalla Germania. [2]

Il contratto finale fu finalizzato nel gennaio 1939; in alcune lettere scambiate dallo Stato Maggiore nel Dicembre 1938 viene indicato come il numero finale di fucili stabilito per la produzione era di 120.000, per un totale di 50 milioni di lire. Il pagamento sarebbe stato fatto in "Valuta pregiata", 50% alla firma del contratto, 25% al momento dell'imbarco e 25% all'arrivo a destinazione della merce.
Le motivazioni di questo cambiamento nei numeri della produzione totale non sono al momento chiare per mancanza di fonti intermedie; probabilmente i diplomatici giapponesi si accontentarono di 120.000 fucili in modo tale da avere dei fondi di riserva per acquistare pezzi di ricambio e calciature extra, come vedremo nel prossimo paragrafo.

La compravendita e le spedizioni sarebbero stati organizzati con l'aiuto e la copertura della Mitsui & Co Ltd, che fungeva da collegamento, da facciata commerciale per l'accordo.[4] Anche la Banca Commerciale Italiana viene citata in diversi dispacci. ​

Arisue Seizou

Arisue Seizo, Addetto Militare presso l'Ambasciata Giapponese in Italia
Wikidata

Japanese center for Asian historical records

Copyright Ugo Venturoli, 
​via www.exordinanza.it

Pics courtesy of J. Anderson

PRODUZIONE ED USO

Una volta terminata la produzione di tutte le canne, Terni le inviò a tre diversi stabilimenti per produrre le altre componenti ed assemblare le armi. Questi erano:

- SFARE Gardone Val Trompia, che assemblò la metà dei fucili totali, con prefisso seriale A-F
- Fabbrica Nazionale d'Armi - Brescia, che assemblò un quarto dei fucili totali, con prefisso seriale G-I
- Fabbrica d'Armi Pietro Beretta - Gardone V.T. , che assemblò un quarto dei fucili totali, con prefisso seriale J-L

Tutte le armi prodotte furono testate dalla SFARE di Gardone V.T. con munizioni procurate dal governo giapponese: vennero inviate a titolo gratuito 650.000 cartucce di 6,5x50 Arisaka, non senza problemi. Il ministero delle finanze italiano (Ufficio Dogane) pretese infatti dal governo Giapponese il completo pagamento dei diritti di dogana per ogni singola cartuccia importata. Questa impasse venne risolta solo con l'intercessione del Colonnello Arisue presso lo Stato Maggiore Italiano, che riuscì a far abbuonare i diritti di dogana richiesti, facendo notare l'importante contratto in valuta pregiata già in esecuzione e l'assoluta gratuità delle munizioni fornite.
Gardone utilizzò circa 254.000 cartucce e rispedì il resto (395.880 colpi in 55 casse [5a]) alla Mitsui & Co ltd per il rimpatrio. [5]

L'Arsenale di Gardone collaudò le armi prodotte da tutte le fabbriche, ne controllò le misure, le tolleranze e le preparò per la spedizione, solitamente con la supervisione della Commissione per le ordinanze giapponese.

Le armi furono poi spedite in 6 diversi invii di circa 20.000 pezzi ciascuno tra il luglio 1939 e il dicembre 1939.
Ad ogni lotto di 20.000 fucili completati, l'addetto militare provvedeva a versare circa 4,195,000 lire, ai quali seguivano circa 2,080,000 lire al momento dell'imbarco e altri 2,080,000 al momento dell'arrivo in Giappone.

Il 18 ottobre 1939 il sesto e ultimo lotto di armi fu collaudato alla presenza della Commissione per l'artiglieria giapponese, che giudicò i fucili "generalmente buoni e tutta la produzione completata senza incidenti". [6]
Il 15 novembre fu presentato e firmato un contratto per produrre estrattori aggiuntivi e a dicembre furono richiesti altre 5.000 calciature di faggio come parti di ricambio, pagandole circa 40 lire ciascuna. [7]
La quarta spedizione di armi, partita a metà Ottobre, arrivò in Giappone il 6 dicembre 1939. [8]
L'ultima spedizione di armi lasciò il porto di Genova sulla nave cargo "Suwa Maru" il 21 dicembre 1939. [9]
Le munizioni rimaste dai test (395.880 colpi in 55 casse) furono rispedite in Giappone nel gennaio 1940 sulla nave cargo Muroran Maru. [10]
Il contratto fu completato  il 5 marzo 1940, quando i giapponesi effettuarono l'ultimo pagamento, saldando l'avvenuta ricezione del quinto e sesto carico pagando 4,157,633 lire, con 186.669 lire rimaste in avanzo. [11]

I documenti giapponesi indicano che alcune delle navi cargo furono ispezionate dalle truppe britanniche mentre attraversavano un porto britannico lungo la rotta, ma le armi non vennero scoperte [9]. Il Ministero della Difesa giapponese prese comunque delle contromisure per tenere le forniture di armi e gli acquisti di aerei il più possibile nascosti alla vista indagatrice del Regno Unito e della Francia. [12]

MARCHI

Tutte le armi "Tipo I" prodotte in Italia non erano contrassegnate con il Sigillo Imperiale Giapponese (il famoso "Crisantemo") , essendo formalmente destinate al Governo del Manchukuo.

Nonostante fossero serializzate solo sulla canna senza altri stemmi o marchi apparenti, è possibile verificare se il  fucile "Tipo I" in vostro possesso è "Monomatricola": o, più che altro, si può facilmente individuare uno scambio di otturatore.

Sia Beretta che F.N.A. hanno contrassegnato la base della manetta dell'otturatore e la culatta (nella parte inferiore, non si vedono a meno che non si smonti dalla calciatura) con i propri loghi, mentre l'Arsenale di Gardone Val Trompia ha contrassegnato le stesse parti con i propri marchi di ispezione (solitamente un numero all'interno di un rombo), con marchi FAT o FAG, o non le ha contrassegnate affatto.

Beretta ha utilizzato il suo tipico PB (Pietro Beretta) con e senza corona, mentre la F.N.A. ha utilizzato il suo logo, stilizzato, come ha fatto su tutte le sue parti  di arma prodotte durante la sua attività. 

Type I Markings

Essendo, per quanto riguarda il manuale d'arma e le munizioni, molto simili ai fucili Tipo 38, ma diversi in termini di pezzi di ricambio, i fucili "Tipo I" venivano solitamente spediti in tutto l'impero giapponese e territori occupati in piccoli lotti, per essere distribuiti a unità specifiche, in modo tale da semplificare la logistica dei pezzi di ricambio.
Sia la Marina che l'Esercito giapponese (assieme a diversi eserciti collaborazionisti) ottennero questi fucili, senza evidenti preferenze di assegnazione. Si trattava semplicemente di fucili "di scorta" acquisiti tramite accordi diplomatici, pronti per essere utilizzati in modo efficiente da unità di seconda linea che non avevano bisogno di un flusso costante di ricambi e che non avrebbero dovuto subire alcun tipo di logoramento bellico.

Alcuni di questi fucili presentano una calciatura accorciata di circa un pollice (2,5cm), rimosso dal lato del calciolo, per essere più comodi per alcune unità giapponesi. Queste accorciature risultano essere state fatte durante la produzione in Italia, in quanto risulterebbero fatte a regola d'arte e presenterebbero i marchi degli ispettori italiani nelle parti accorciate. Queste potrebbero essere le 5000 calciature comprate in un secondo momento, o altre modificate su richiesta in fase di contrattazione.

MOVIMENTAZIONI E RESE DOCUMENTATE. (Parziale)

Come descritto nell'introduzione dell'articolo, questi fucili vennero successsivamente distribuiti in tutto l'Impero Giapponese e nelle zone da esso occupate:
- Nel marzo del 1940 furono inviati 2000 fucili al Governo Nazionale Riorganizzato della Repubblica di Cina (Governo Wang Jingwei), sostanzialmente un regime fantoccio installato a Nanchino dai giapponesi per controllare meglio il territorio cinese occupato.
- 1000 fucili furono inviati nel marzo 1940 al governo autonomo di Mengjang, sostanzialmente un regime fantoccio installato nella regione della Mongolia Interna dai giapponesi, che venne assorbito nella Governo Nazionale Riorganizzato della Repubblica di Cina nello stesso anno.
- 100 fucili andarono all'ospedale di Nagoya della 2^ armata , per le guardie dell'arsenale e presumibilmente per uso antiaereo. [14]
- Diverse unità della Marina imperiale giapponese ricevettero questi fucili, principalmente per uso addestrativo. Abbiamo in particolare foto della Scuola della Marina di Tokyo (Tokyo Naval Accountant School)

- 1700 fucili furono catturati ai Marines giapponesi di stanza a Shanghai
- 650 fucili furono catturati al 186° battaglione di guardia campi d'aviazione [13]
- 224 furono catturati a soldati della Guardia dell'Isola Zhōushān (unità navale della Flotta dell'Area Cinese, di stanza vicino a Shanghai)
- 563 furono catturati al Raggruppamento Navale "Hario"

Japanese center for Asian historical records, con note segnate da Anderson e collaboratori

Fonti Primarie: Japan Center for Asian Historical Records (JACAR)

As discussed in the introduction of this article, these rifles were sent all over the Japanese Empire and its dominions:
2000 rifles were sent in march 1940 to the Reorganized National Government of the Republic of China, basically a puppet regime installed in Nanjing by the Japanese.
1000 rifles were sent in march Anderson's thread on Gunboards forum
Aaron Zou's Article
[1a] - Proposal of the Army Ministry to purchase italian rifles Ref.C04120693100, 1938 Rikushimitsu Dainikki No.73  (NIDS)
[1] - ​Purchasing rifles - Options ​Ref.C01004544600, Mitsu Dainikki, Vol. 15, 1938 (National Institute for Defense Studies)
[2] - Purchasing rifles - Ordnance request Ref.C01004553400, Mitsu Dainikki, Vol. 15, 1938 (National Institute for Defense Studies)
[3] -  Ircania shipping BR20 Ref.C01004358600, Mitsu Dainikki, Vol. 8, 1937 (National Institute for Defense Studies)
[4] - Mitsui Involvement Ref.C01004665900, Mitsu Dainikki, Vol. 11, 1939 (National Institute for Defense Studies)
[5a] - ​Leftover ammo Ref.C01004876900, Mitsu Dainikki, Vol. 15, 1940 (National Institute for Defense Studies)​
[5] - ​Leftover ammo - Return to Mitsui & Co Ltd Ref.C01004704700, Mitsu Dainikki, Vol. 13, 1939 (National Institute for Defense Studies)
​[6] - Overall budget, 6th batch inspection Ref.C01004703100, Mitsu Dainikki, Vol. 13, 1939 (National Institute for Defense Studies)​
[7] - Purchasing extra beech Stocks Ref.C01004704000, Mitsu Dainikki, Vol. 13, 1939 (National Institute for Defense Studies)
[8] - Cost of individual rifles, 4th shipment Ref.C01004875400, Mitsu Dainikki, Vol. 15, 1940 (National Institute for Defense Studies)​
[9] - 6th shipment depart from Genoa  Ref.C01004875900, Mitsu Dainikki, Vol. 15, 1940 (National Institute for Defense Studies)​
[10] - Shipping remaining ammo  Ref.C01004879900, Mitsu Dainikki, Vol. 15, 1940 (National Institute for Defense Studies) 
[11] - ​Final cost and leftover money Ref.C01004889400, Mitsu Dainikki, Vol. 15, 1940 (National Institute for Defense Studies)
[12] - Hiding stuff from the Brits  Ref.C01004809000, Mitsu Dainikki, Vol. 8, 1940 (National Institute for Defense Studies)
[13] - 186th Airfield Battalion  Ref.C15010589500, September, 1945 1st weapon transfer list (National Institute for Defense Studies)
[14] - Nagoya Hospital  Ref.C06030135500, 1942, No. 15 of Rikuafu Dainikki (National Institute for Defense Studies)
[15] - Trade deals Japan- Italy-Manchukuo Ref.C01001663700, Dainikki, Koshu, 1938 (National Institute for Defense Studies)
 Cost of Rifle Paid Ref.C01004699700, Mitsu Dainikki, Vol. 13, 1939 (National Institute for Defense Studies)
 Purchasing Rifle - Banca Commerciale Italiana Ref.C01004703800, Mitsu Dainikki, Vol. 13, 1939 (National Institute for Defense Studies)
Surrendered rifles, 13th Air Division Ref.C15010659300, January 1946, Weapon transfer list, 13th Air Division (National Institute for Defense Studies)



to the Mengjang Autonomous government, basically a puppet regime installed in the Inner Mongolian region  by the Japanese, that it will be absorbed into the RNG Republic of China later that year.
100 rifles went to the Nagoya Second Army Hospital, for security and allegedly in anti aircraft use (request for 3000 ordinary rounds and 1000 "air defense purposes" rounds, July 27th 1942). ​[14]

Several units of the Imperial Japanese Navy received these rifles, both for training use

1700 were captured from the Marines forces in Shanghai 
​650 were captured by the 186th Airfield Battalion ​[13]
224 were captured from the Zhoushan Guard units (Naval unit in Shanghai)
563 were captured from the Hario Naval Corp

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